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Pupi Avati: la nostalgia del presente

8 giugno, tenuta La Rampata della cantina Medici Ermete, terzo appuntamento della rassegna “Medici per il territorio”: un riuscito tentativo di porre l’attenzione sul vino senza quasi parlarne direttamente, creando occasioni di cultura, narrazione e convivialità

Pupi Avati

(di Massimo Bellei)

In questa sera di sabato nel cortile della Tenuta Medici, alla Rampata, si respira e si avverte un clima di classe, una classe accessibile, come sono l’Emilia e gli emiliani. C’è tanta gente, che fa due chiacchiere, scopre che c’è anche quell’amica. O quell’altro ancora. Si beve e si mangia qualcosa al bel buffet, ricco. C’è anche il carriolino del gelataio Adriano, quello di quando eravamo bimbi. Introduce la padrona di casa: Alessandra Medici, elegante, grata e ospitale, solo due parole per dire che è proprio perchè volevano un emiliano doc, che i Medici hanno pensato a Pupi Avati. Classe dicevo, una classe buona, alla buona ma consapevole. Di chi sa che può comunque sedersi a qualunque tavola, perché ha in sé una storia di lavoro, fatiche, simpatia e arguzia. E puntuale il Maestro Avati arriva e inizia a parlare. E’ commosso, lo muove la musica che introduce la serata: la colonna sonora del suo film UNA GITA SCOLASTICA. Gli ricorda la zia Laura, insieme alle tante persone che hanno riempito la sua vita e ora accompagnano la sua vecchiaia (non ha timore a chiamarla col suo nome): promunica i loro nomi come fossero una preghiera.

Ci guarda (siamo in tanti. C’è pure il vescovo Camisasca col quale il Maestro dialoga e scherza con la  confidenza del vecchio amico)… “mi piace guardarvi, le vostre facce. Niente storie. La Felicità.” E’ un uomo di grande simpatia, diverte e spesso strappa la risata. Poi subito è capace di un ricordo o una riflessione che commuove, magari perché sofferta, personale. Quasi una confessione, a tratti. Spiega che sente la necessità di andare in giro a raccontare, sente il compito di trasmettere. La sua conversazione non stanca, e attraversa la storia del cinema italiano (la scoperta di Mariangela Melato, la decisione di fare il cinema partendo solo dall’entusiasmo e dal fermento del ’68, i fallimenti e i successi) e le fasi della vita. Una vita che somiglia a quella di chiunque ha avuto la fortuna di vivere o almeno sfiorare la civiltà contadina e i suoi valori.
E allora l’infanzia negli anni della guerra, gli amori, la passione della musica. La famiglia e gli sconquassi indotti dal successo. E’ un grande narratore, il signor Avati. Ti fa vedere le cose che dice come avere davanti un film. E ci ritrovi i suoi, di film, capisci quanto ha saputo narrare di sé e degli amici nella sua opera cinematografica. Una serata splendida, due ore molto piacevoli.
Che si concludono con una dolce definizione della vita: una collina che Sali per anni, inseguendo quello che c’è al di là, attendendo qualcosa di meraviglioso, qualcosa che ti appartiene di diritto. E quando sei vicino alla meta ti accorgi che il bello è proprio la salita che hai percorso.
E provi una struggente nostalgia: la nostalgia del presente.

 

 

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