PRIMO PIANOSANITÁ

Come parlare di malattia e morte ai bambini

di Viviana Tanzi (Assessore alle Politiche Educative Comune di Sant’Ilario d’Enza)

Cosa sta succedendo? E’ la domanda che si pongono tutti i bambini.
Le scuole sono chiuse, le biblioteche non prestano più libri, nei parchi non si può più giocare, gli amici non si possono più incontrare. Spiegare questo progressivo ritrarsi delle relazioni sociali ai più piccoli è difficile, confinati nelle case e senza poter incontrare gli altri può essere complicato da spiegare, ma occorre farlo. La causa che ci costringe a modificare drasticamente le nostre abitudini è grave ed inedita. Si tratta di malattia e di morte. Ma come è possibile parlare di questi argomenti con i bambini? Ed è giusto parlarne? Come mantenere il filo della memoria, delle abitudini precedenti, degli amici, delle maestre dopo tanti giorni di assenza?

Dove è possibile, genitori ed insegnanti tengono aperte le relazioni a distanza ma naturalmente, pur essendo utilissimo, non è la stessa cosa. Manca la vicinanza fisica, la relazione corporea che per i piccoli è la più importante. Si possono tenere vive le narrazioni del cosa si faceva a scuola, quali erano le abitudini, come si scandiva la giornata. Raccontare e farsi raccontare serve a far capire loro che la storia continua anche se in modo diverso. E soprattutto bisogna comunicare che è solo una fase temporanea e che tra poco tutto ritornerà come prima, questa è solo un’interruzione momentanea non definitiva. I bambini sono dei grandi conservatori, molto affezionati alle loro abitudini, perciò mantenerle anche a casa quando possibile rafforza la sicurezza e la prevedibilità degli eventi. Può servire scandire la giornata secondo i ritmi della scuola perché aiuta ad organizzare pensieri ed emozioni. Rassicura dando continuità alle abitudini, certe e prevedibili. Alternare momenti di narrazione e lettura dei libri, giochi da tavolo, lavoretti in cucina od in giardino, vedere documentari o cartoni animati: sono tutte attività note e conosciute che danno continuità alle esperienze e scandite con regolarità calmano i bambini, li rendono meno ansiosi ed assillanti.
Parlarne o lasciar perdere
Parlare di malattia e di morte ai bambini è difficile. Difficile perché doloroso e perché non sappiamo come argomentare con razionalità uno dei temi più complicati della nostra vita. Tuttavia i bambini domandano e capiscono, a modo loro. La diffusione di informazioni dai media, le parole dei genitori, il cambio di programma nelle organizzazioni famigliari sono tutte novità di cui i bambini percepiscono le note dissonanti. C’è qualcosa che non torna, ma gli adulti cercano di proteggerli parlandone poco o nulla. I bambini sentono che l’argomento è grave, preoccupante ed avvertono la nostra e la loro fragilità. Gli adulti tra loro parlano, e molto, ma invece riesce difficile parlarne con i bambini, a volte si tace, a volte si minimizza, ed a volte si spaventa per indurli all’attenzione. Non toccare, lavati le mani, non metterti le mani negli occhi o in bocca, non abbracciare e baciare gli amici: insomma raccomandazioni note ma in un clima molto più teso. Perciò i bambini sono in allarme e molto consapevoli che qualcosa di grave sta succedendo. Proviamo allora a spiegare cosa è questa malattia e perché non si può andare a scuola e si deve restare in casa. Si può dire che questa “influenza” ( termine noto e comprensibile ai piccoli) è molto contagiosa, cioè si trasmette molto facilmente agli altri; allora bisogna stare attenti e non giocare con gli amici per evitare che i grandi si ammalino. Le parole però hanno meno valore e significato della modalità con cui si trasmettono i messaggi. Per quanto possibile evitare un clima di ansia, paura e preoccupazione per rendere queste giornate che sono diverse dal solito straordinarie ma non pericolose. I piccoli capiscono prima le emozioni e poi le ragioni. Se manteniamo calma e cadenze abitudinarie loro si adatteranno facilmente. Ma questa può essere anche un’occasione per parlare di malattia e di morte. Il silenzio degli adulti è il rimedio meno efficace in questi momenti, se non diamo loro gli strumenti per comprendere se li daranno da soli con fantasia ed immaginazione. Non sempre efficaci.
Il bambino pensa la morte
In genere tendiamo a credere che la morte sia lontana dagli interessi del bambino, che non sia opportuno angosciarlo con questo argomento perché è piccolo e non può capire. Quando sarà più grande capirà da solo cosa significa. In realtà il pensiero della morte come scomparsa si affaccia precocemente alla sua mente. Anzi è un argomento che lo attrae e lo incuriosisce. La morte nella prima infanzia non è compresa come evento irreparabile e definitivo ma come separazione, mancanza, perdita. La prima esperienza è legata alla nascita: con il parto il bambino viene alla luce, ma contemporaneamente perde quell’identità perfetta che aveva con la madre dentro al suo grembo. È la prima esperienza di perdita: prototipo di tutti gli abbandoni. È una esperienza di morte simbolica che lo mette in grado di “sentire” profondamente il significato della perdita come distacco, lontananza, separazione che porterà nell’animo e lo metterà in contatto con tutte le altre esperienze simili. Proprio questa primo incontro con il distacco lo metterà però anche in grado di intuire, non di comprendere completamente, ma di intravedere, di sentire, che insieme all’ allontanamento si aprono anche altre strade, seppur faticose e dolorose. Le vie dell’indipendenza, dell’autonomia e del futuro sono fondate sulla capacità di far fronte al distacco ed alla perdita. Quando sono piccoli i bambini pensano anche all’assenza delle persone che li curano come definitiva ed irreparabile, perciò il cambio di stili di vita ed organizzazioni giornaliere è percepito come una perdita di sé, un lutto. Vi sono bambini che si adattano più facilmente ai cambiamenti, altri invece che restano saldamente attaccati a ritmi e rituali. Il rituale del saluto per andare al nido od alla scuola dell’infanzia, il rituale dell’appello, della scelta del gioco da fare ecc, sono tutti momenti che danno sicurezza e prevedibilità alla giornata dei bambini. Adesso con questa emergenza tutte queste organizzazioni sono cambiate e diventano sempre meno ricche per l’allentamento delle relazioni sociali. Può accadere allora che i piccoli diventino capricciosi, dipendenti, petulanti. Sono tutti segnali che comunicano la fatica ed il disagio del cambiamento del loro stile di vita. Parlare con loro, anche se piccini, diventa indispensabile, spiegare che tra poco si tornerà a fare come prima, che ora dobbiamo aspettare un pochino ma poi tutto tornerà alla normalità. La pazienza non è una loro virtù di solito. Ma la deve diventare per noi.

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