GIORNO DELLA MEMORIAPRIMO PIANO

Giorno della memoria: una storia da non dimenticare

Le donne nei campi di concentramento costrette a prostituirsi

di Claudia Belli

Dopo varie letture mi sono soffermata su alcuni approfondimenti di una giornalista in particolare, Dominella Trunfio, la quale riporta alla luce quello che altri scrittori hanno cercato di descrivere con le loro testimonianze. Un orrore che sembra non finire mai. Dai campi di concentramento ai giorni nostri, la tragedia umana non ha fine e si ripercuote su uomini, donne e bambini schiavizzati in un’era, la nostra, che si mostra moderna e civilizzata ma che ancora non è riuscita a far sì che gli uomini siano tutti uguali davanti agli occhi del mondo intero. Le prostitute dei lager sono paragonabili alle schiave dei nostri tempi. Meditiamo sull’orrore che ci circonda.

Accogliamo e condividiamo dunque il contributo di Dominella Trunfio, del 7 dicembre 2017 (https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/prostitute-campo-concentramento/):

“Dovevano essere polacche, tedesche o bielorusse, mai ebree. Soglia massima d’età venticinque anni, dovevano rimanere sempre in silenzio e presentarsi con addosso una divisa dove sopra c’era cucito il loro numero.  Nel campo di concentramento di Auschwitz, come in tutti gli altri campi, avveniva anche questo: le “prescelte” dovevano diventare prostitute. Erano costrette a vivere in quelle che venivano definite case di tolleranza, ovvero edifici speciali all’interno dei campi di concentramento, dove l’accesso era controllato in maniera meticolosa. C’erano turni, tariffe e orari d’ingresso riservato solo ai detenuti-funzionari, gli internati che svolgevano compiti di sorveglianza all’interno dei lager, come ad esempio decani o kapò. Una triste realtà che si consumava tra il filo spinato che recintava i lager, l’ennesimo simbolo dell’orrore nazista che trattava le donne come merce di scambio e che è ben documentato in Das KZ- Bordell  (Il bordello nel campo di concentramento), un libro di Robert Sommer che ben racconta l’inferno di chi viveva nelle Sonderbauten. L’idea era stata del capo delle SS Heinrich Himmler, che nel 1942 aveva pensato di istituire il bordello per aumentare la produttività degli internati, reclutando le donne che riteneva idonee a diventare prostitute.

La donna doveva presentarsi ben vestita e truccata, non doveva mai incrociare lo sguardo dell’uomo, guai a pronunciare una parola. Doveva sdraiarsi e aspettare che i 15 minuti passassero. Il rapporto sessuale veniva controllato dallo spioncino dalle SS. Come se non bastasse, le donne prima di diventare prostitute venivano sterilizzate, per questo i casi di gravidanze erano pochissimi e quando succedeva c’era l’immediato aborto. Alcune testimonianze dirette sono state raccolte dalla scrittrice tedesca Helga Schneider che in uno dei suoi romanzi dà voce proprio a queste vittime.

Ne “La baracca dei tristi piaceri” ad esempio, parla di donne diventate automi che dopo essere state oggetto in mano agli uomini, la sera, per sopravvivere si alcolizzavano.

“ A parte il rapido abbrutimento fisico e ,mentale, per un certo periodo mosse qualcosa nel mio inconscio che non aveva nulla a che fare con la mia natura (…) sentivo l’impulso di uccidere un qualsiasi bastardo affiliato di Himmler. Uno sarebbe stato sufficiente, come se quell’omicidio avesse potuto vendicare ciò che mi avevano fatto le SS, confinandomi con l’inganno in un bordello (…)”, si legge nel libro.

Testimonianze preziose e rare perché sono pochissime le donne che sono uscite vive dal campo.

Quando si ammalavano, infatti, sfinite da una vita fatta di degrado e umiliazione, venivano rispedite in altri lager, qui trovavano la morte con il gas e i forni crematori o diventavano cavie per esperimenti medici”.

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