PRIMO PIANO

Omicidio Saman, contrastiamo insieme la cultura patriarcale

La Consigliera comunale di Reggio Marwa Mahmoud: “Abbiamo sul territorio le risorse istituzionali e sociali per rompere i muri di gomma delle realtà più chiuse, anche aggiornando gli strumenti operativi

La vicenda della giovane Saman Abbas, che ad oggi purtroppo non ha ancora avuto il tragico riscontro finale con il ritrovamento del corpo, ci ha scosso e come è naturale ha fatto discutere tanti, ma spesso con approcci superficiali e pregiudiziali. Per questo il Gazzettino ha promosso un incontro tra alcune componenti di Sant’Ilario Futura e la Consigliera Comunale di Reggio Emilia Marwa Mahmoud che presiede la commissione Consiliare “Diritti Umani, Pari Opportunità e Relazioni Internazionali”. Lo scopo è quello di provare a creare una consapevolezza condivisa che produca azioni culturali e politiche coerenti su tutto il territorio reggiano.

Pubblichiamo l’intervento di Marwa Mahmoud.

Sulla tragedia di Saman credo che sia necessario fermarsi a riflettere valutando con attenzione tutti gli aspetti che si intrecciano attorno ad essa come un gomitolo; difficili da snodare ma che non si possono risolvere emettendo sentenze sommarie, il più delle volte dettate da pregiudizi o da interessi strumentali. Chi come noi, ha responsabilità politiche deve affrontare le cose lucidamente per risolverle, quindi ringrazio il Gazzettino per l’ospitalità e per la possibilità di confrontarmi, in modo da costruire consapevolezza e azioni concrete. In primo luogo voglio sottolineare positivamente la reazione che tutta la comunità reggiana, il Sindaco Elena Carletti in primis, le altre amministrazioni, tante associazioni tra cui le Comunità Mussulmane che hanno ribadito prontamente la condanna ferma e assoluta non solo verso un delitto efferato (purtroppo ad oggi ancora privo di riscontro), ma anche di ogni pratica lesiva della dignità della donna, come quella dei matrimoni combinati o forzati. Adesso la sfida è quella di evitare che una volta sopito l’interesse mediatico, la questione finisca nel dimenticatoio. Inoltre, cercando di analizzare i fatti livello per livello, dico una cosa che potrebbe sembrare scontata ma che dovrebbe rappresentare quel dato di partenza condiviso: cioè che è stata uccisa una donna, una giovane donna che ha fatto una scelta di vita in aperto contrasto con il suo nucleo familiare e cioè la scelta di vivere da giovane donna italiana la sua vita (così Saman amava rappresentarsi sui social), mettendo in discussione un’impostazione culturale (quella del matrimonio forzato) che non è una prerogativa del Pakistan dove, vale la pena ricordarlo, rappresenta un reato come lo rappresenta per l’Italia e per tutta l’Europa.

Qualcuno potrebbe però pensare che la cultura Pakistana continui a promuovere comunque un certo stile di vita a prescindere dalle leggi?

E sarebbe un altro errore. Ma andiamo con ordine: il matrimonio forzato, come altre forme di restrizione delle libertà civili e individuali, è frutto di una cultura patriarcale legata intimamente ad una struttura sociale ed economica agricola, basata sul patrimonio quale risorsa principale che quindi bisogna cercare di non dividere mai. Pertanto i matrimoni tra consanguinei erano praticati in quest’ottica ovunque nel mondo sia da plebei che da nobili e sono praticati ancora in alcuni paesi (soprattutto in alcune aree più rurali di tali paesi) ma non c’è nulla che non si possa cambiare, come peraltro dimostra la storia dell’Italia stessa. Un paese che si è avviato più tardi di altri sulla strada della modernizzazione, ma che nel tempo recente ha adeguato non solo il suo impianto normativo (ricordiamo che in Italia il delitto d’onore ed il matrimonio riparatore sono stati aboliti nel 1981) ma che ha maturato una cultura aperta e moderna, ormai largamente condivisa. Anche il Pakistan, che va ricordato è un grande paese di 200 milioni di persone, deve fare la sua strada ma la farà contestualmente al suo sviluppo sociale ed economico a prescindere dalla religione. Un percorso che la comunità internazionale può sostenere organizzando incontri tematici con i governi finalizzati a promuovere le condizioni per l’innalzamento dei livelli di istruzione e di occupazione femminile, o comunque la definizione di interventi di sostegno all’autonomia della donna.

Ma torniamo ad analizzare quello che è possibile fare sui nostri territori.

Non voglio sfuggire a questo ulteriore aspetto specifico del discorso che è quello dell’inserimento problematico delle famiglie, di gruppi o di comunità di stranieri in Italia, anche in un territorio come quello emiliano ad alto tasso di sviluppo e (lo ricordo ancora con forza) ad alto tasso di socialità, ricco di servizi e strutture in grado di avvicinare le persone tra loro ed alle istituzioni pubbliche. Il tema non è criticare i servizi (come anche in questa vicenda si è tentato di fare strumentalmente) i quali sono intervenuti con gli strumenti che hanno e con la consueta umanità e professionalità, ma di riflettere insieme se ci sia la possibilità di introdurre nuove e più incisive modalità di azione, da attivare con procedura d’urgenza, qualora in alcuni nuclei familiari o sociali vi siano delle situazioni che rischiano di evolvere in modo critico. Penso ad esempio alla concessione automatica della cittadinanza (Saman non ce l’aveva) in modo da sostenere legalmente l’autonomia del soggetto a rischio, oppure ad altre modalità che si possono studiare anche partendo da esperienze pilota che in altri paesi sono state già avviate. Bisogna creare ponti, rompere il muro che fisiologicamente, anche solo per ragioni banalmente linguistiche, rischia di crearsi tra gruppi di immigrati e resto della comunità, raccogliere eventuali segnali potenzialmente critici con strumenti nuovi e più affinati rispetto alla criticità che si vuole affrontare, bisogna evitare che le seconde generazioni di immigrati siano costrette a fare i conti con la disillusione rifugiandosi nella conservazione ed in una visione distorta e reazionaria ma rassicurante, della loro cultura d’origine. Sarà quest’azione positiva riformatrice e non certo le etichettature etnocentriche a liberare concretamente tutte le potenziali Saman dal retaggio culturale primitivo e di genere che le imprigiona fino a soffocarle tragicamente: mettiamoci al lavoro!

(Marwa Mahmoud)

 

Mostra di più

Articoli Correlati