LA SPAGNOLA DI CENT’ANNI FA
QUANDO I NOSTRI BISNONNI VISSERO LA STESSA ESPERIENZA DI OGGI. L’epidemia che colpì il mondo nel 1918 fece centinaia di migliaia di vittime anche in Italia. Nel nostro Comune la guerra e il virus quasi raddoppiarono il numero dei morti rispetto al 1914
di Mauro Poletti
Quante volte durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo abbiamo pronunciato o ascoltato frasi di questo tipo: «Non mi sarei mai aspettato di vivere una situazione come questa» – «Il coronavirus ci ha colti di sorpresa, non eravamo preparati ad affrontarlo» – «In guerra hai di fronte un nemico conosciuto mentre oggi siamo costretti a combattere contro un nemico invisibile e imprevedibile». Le nostre reazioni, soprattutto all’inizio dell’epidemia, sono state non solo di paura ma anche di incredulità e di sconcerto rispetto ad un contagio a livello globale di cui non avevamo memoria. Eppure i nostri nonni o i nostri bisnonni avevano fatto esattamente la nostra stessa esperienza nel 1918, poco più di un secolo fa, e l’avevano tramandata a figli, nipoti, pronipoti attraverso i loro racconti familiari. A nostra discolpa va detto che sono trascorsi cent’anni da allora e i virus che hanno continuato ad affliggere il mondo nell’ultimo secolo non hanno mai raggiunto la dimensione planetaria e la gravità del coronavirus attuale. La conoscenza di quello che è successo allora ci serve quindi a prendere coscienza che la pandemia di oggi non è un fatto unico e irripetibile ma ricorrente; un fatto cioè che potrebbe ripresentarsi in nuove forme in tempi più o meno lunghi e con il quale dovremo convivere anche in futuro.
Autunno 1918: l’epidemia si diffonde in Italia. Ritorniamo dunque al 1918 per mettere a fuoco le caratteristiche di quella pandemia e quali analogie ci sono con quella attuale. Il 1918 è l’ultimo anno della prima guerra mondiale. Milioni di soldati vivono gomito a gomito nelle trincee mentre i civili stanno sopportando i duri sacrifici di un conflitto che infuria ormai da quattro anni. L’epidemia scoppia nella primavera di quell’anno, portata probabilmente in Europa dai soldati americani che combattono a fianco degli anglo-francesi. In Italia si diffonde soprattutto in autunno. I giornali dell’epoca parlano del propagarsi di un morbo a cui viene dato il nome di febbre spagnola in quanto i primi a parlarne sono stati i giornali spagnoli, non soggetti a censura militare in quanto la Spagna non era un paese belligerante. La malattia presenta un rapido decorso, si manifesta con febbre alta, tosse, dolori muscolari e articolari, colpisce in particolare i giovani adulti, risparmiando maggiormente bambini e anziani. Molte delle disposizioni impartite dalle autorità sanitarie per limitare l’espansione del contagio sono simili a quelle di oggi: non avvicinare persone malate o convalescenti, evitare il più possibile i luoghi pubblici, parlare senza spandere goccioline di saliva, lavarsi accuratamente le mani. In una parte dei contagiati insorgono complicazioni polmonari che conducono alla morte. Muoiono a causa del virus influenzale sia i soldati al fronte sia i civili. In pochi mesi i morti sono centinaia di migliaia; a livello nazionale si stima che alla fine dell’epidemia siano 650 mila. A livello mondiale il bilancio è drammatico: si contano circa 50 milioni di vittime.
La Spagnola a Sant’Ilario e Calerno. Anche l’Emilia viene duramente colpita così come la provincia di Reggio Emilia. Nel nostro Comune nel corso del 1914 – quando l’Italia non partecipa ancora alla guerra – si contano 88 morti; nel 1915, con l’entrata in guerra il 24 maggio, i morti salgono a 100, l’anno dopo raggiungono i 110, lo stesso numero di decessi che si verifica nel 1917. Nel1918, l’ anno in cui esplode l’epidemia di Spagnola, si registrano 163 morti, 53 in più dei due anni precedenti, dovuti in larga parte all’epidemia. Nella parrocchia di Sant’Ilario i decessi sono 88 mentre in quella di Calerno si raggiungono i 75 deceduti. Per avere un’idea di che cosa significano queste cifre bisogna considerare che il Comune di Sant’Ilario all’inizio del Novecento aveva poco più di 4 mila abitanti (4.266 residenti al censimento del 1911). La popolazione di allora ammontava cioè a poco più di un terzo di quella di oggi (11.299 i residenti del Comune alla fine del 2019). Lo scorso anno i morti nel nostro Comune sono stati 110. Dunque, con 7 mila residenti in più rispetto agli anni della prima guerra mondiale si è registrato nel 2019 lo stesso numero di morti dei due anni bellici 1916-1917. Nel 1918, a causa della Spagnola, si era raggiunto il picco di 163 morti, con un incremento di quasi il 50% rispetto all’anno precedente. Nel 1919 e negli anni seguenti il numero dei deceduti era poi calato sensibilmente: 77 nel 1919, 74 nel 1920, 68 nel 1921.
Mentre nelle trincee e negli accampamenti militari la propagazione del virus era stata favorita dalla concentrazione di truppe in spazi ristretti, a Sant’Ilario e a Calerno, come in gran parte dell’Italia, la sua diffusione era dovuta alle abitazioni malsane e sovraffollate in cui viveva una parte consistente della popolazione, in borghi come la Mura, il Bettolino o il Cantone, caratterizzati da scarsa igiene, dovuta alla mancanza di acqua corrente, di servizi igienici decenti e di fognature. A tutto questo si sommava un sistema sanitario pubblico inadeguato per fronteggiare una pandemia di quella gravità. Oggi le condizioni sono nettamente migliori: non siamo in guerra, il sistema sanitario è di gran lunga più efficiente e attrezzato, l’igiene personale e collettiva è assicurata da abitazioni dotate di tutti i servizi necessari.
Nonostante tutto questo, l’emergenza che stiamo affrontando ha provocato problemi di vasta portata e ci ha fatto sentire fragili e impauriti. Ora però abbiamo maturato la consapevolezza che dovremo farci trovare più preparati a nuove prove di questo tipo che dovessero presentarsi in futuro.