PRIMO PIANOSANT'ILARIO COM'ERA

Donne imprenditrici di Sant’Ilario

La "Pilèina", la "Cavùra", la Marcella e la altre santilariesi che hanno fatto impresa e inventato un mestiere

(di Giorgio Casamatti)

Come avevo anticipato sull’ultimo numero del Gazzettino vorrei continuare a parlare dei lavori svolti dalle donne raccontando in particolare le vicende di alcune di loro che, grazie a una grande intraprendenza e forza di volontà, si sono “inventate un mestiere“ o hanno intrapreso una carriera professionale che gli ha permesso di conquistare un’indipendenza economica e di essere ricordate ancora oggi come figure esemplari sul piano umano e professionale.

Spesso si trattava di donne di umili origini con un’istruzione sommaria ma che grazie alle loro innate qualità umane e professionali hanno saputo crearsi un lavoro riuscendo spesso ad instaurare coi santilariesi un rapporto umano oltre che professionale. Esemplare è la vicenda delle lattivendole cittadine che per certi versi hanno inventato la consegna a domicilio dei generi alimentari che oggi, nell’epoca dei cosiddetti “rider”, è diventata una professione all’ordine del giorno. Emblematiche sono le vicende di Fidalma Melegari delle case popolari, Italina Ruini del Gazzaro e di Iside Rocchi del Bettolino, meglio conosciuta come “La Piléina”. Se consideriamo che fino a una cinquantina di anni fa il latte fresco sfuso veniva consegnato giornalmente di casa in casa ci sembra di ritornare indietro di secoli. Nessuno potrebbe nemmeno immaginare che ci fossero donne che trainando un pesante carretto carico di bottiglie e bidoni consegnassero il latte in tutto il paese, fornendo un servizio di grande utilità. Nel cuore e nella memoria di molti santilariesi è rimasta impressa la figura della della “Pileina” una donna piccola e apparentemente inerme che di giorno in giorno viaggiava col suo carretto per tutto il paese e nelle sue più remote frazioni per vendere il latte e svolgere altre funzioni sociali: fare le punture, segnare le storte, raccogliere e divulgare notizie e. Così viene celebrata sul Gazzettino quando, dopo una quarantennale carriera, aveva deciso di ritirarsi dalle scene.

Iside Rocchi, “la Pileina”. Anni ‘60. Anche se la foto ritrae la Pilèina pochi anni prima che cessasse l’attività, rimangono invariate la sua “uniforme” e gli strumenti di lavoro.

Questa minuta protagonista della cronaca spicciola abbandona così, ultrasettantenne, le scene calcate nella sua vita: le strade, i viottoli, le piazze, le carraie e le tante scale di case alte e strette. Era a suo modo una dispensatrice di salute infaticabile che trasportò e riversò nelle case dei santilariesi ettolitri di latte, di quello di una volta, cremoso, denso, munto di giornata. Il suo lavoro a contatto con la gente le faceva aggiungere anche la qualifica di giornalista viaggiante che raccontava e commentava fatti e notizie inerenti al paese da Calerno al Bettolino, dal Partitore alla Fornace. Ora la sua figura perennemente attaccata alle stanghe del suo vecchio carrettino del latte, con l’eterno fazzoletto nero sulla testa, si dilegua dalle vie del paese per ritirarsi nella quiete domestica”.

Un’altra storia che merita di essere raccontata per celebrare l’intraprendenza e la dedizione al lavoro delle donne è senz’altro quella di Marcella Gandolfi che, prima di approdare all’edicola in piazza come giornalaia, si era già fatta conoscere ed apprezzare dall’intera comunità. Questa donna ha avuto una vita quasi da film ed è riuscita facendo leva solo sulle sue forze e capacità a mantenere la famiglia e a collaborare attivamente alla resistenza al nazifascismo.

L’edicola in Piazza IV Novembre.

Così la ricorda Pietro Bigi dalle pagine del Gazzettino: Viene mandata dalle suore ad imparare il  ricamo, ne esce una fra le migliori. Conosce Aldo Margini, fervente socialista, e nel febbraio del 1920 si sposano e vanno ad abitare alle case popolari. La Marcella deve adeguarsi alla vita proletaria, va alla monda del riso in Piemonte, vi ritorna in settembre per la mietitura, fra quel pantano e le nebbie gelide, dormendo su un giaciglio di paglia. Poi lavora alla fornace per diversi mesi all’anno facendo dieci ore di lavoro compreso il sabato. La sua passione è il ricamo, frequenta un corso a Parma di ricamo a macchina e ne compera una lavorando a domicilio. Ha un hobby morboso, quello della cartomante facendo il «gioco dell’indovino» e grazie a questo la Marcella sfama i suoi figli col pane bianco dei contadini. Le spose e le fidanzate venivano dai paesi vicini per sapere la sorte dei loro mariti e fidanzati in guerra e la cartomante con umanità terminava le sedute in modo consolatorio. Durante il fascismo alle case popolari si organizza una cellula partigiana, vi aderiscono i figli della Marcella: Piero e Giacomo (Minòia) e nella loro cantina sono custodite armi e propaganda. Questa donna viene arrestata due volte restando in prigione per oltre un mese. Dopo la guerra la famiglia Margini si dedica alla vendita dei giornali aprendo la prima edicola moderna”.

Un’altra categoria di donne conosciute e rispettate da tutti i santilariesi era anche quello delle ostesse tra cui vanno senz’altro ricordate le santilariesi “Cavùra” e Maria Gherardi di Sant’ilario e la “Rossa” che ne gestiva una al Bellarosa a Calerno. Si trattava di donne che oltre alle innate capacità manageriali dovevano essere in grado di mantenere il controllo tra una clientela costituita da uomini spesso su di giri per colpa di qualche bicchiere di troppo, come ricordato in alcuni articoli del Gazzettino.

Maria Gherardi davanti all’osteria di Via Roma

La Cavùra è stata un personaggio della sua epoca. Era l’ostessa dell’Albergo della Posta Vecchia in centro a S.Ilario: una donna piccola e pulitissima che con furbizia e sagacia era in grado di tenere a bada carrettieri, signorini, ubriaconi e rozzi personaggi di passaggio. La Cavùra era l’anticonformista del suo tempo, una donna che inconsapevolmente precorreva i tempi dell’emancipazione femminile, una «manager» sui generis della difficile ospitalità alberghiera dell’epoca, inframezzata di puttane, di «signorini del bel mondo», di carrettieri e di postiglioni con la mente intorpidita dal vino, dalla miseria, dalle cipolle e dalla busecca. A Calerno c’era invece  l’osteria della Bellarosa, gestita dalla “Rossa ed Iott”. La sua clientela era formata per la maggior parte da carrettieri, ma con la Rossa bisognava rigare dritto; aveva 5 figli, pesava 86 chili, era alta e robusta e se qualche taccagno aveva delle storie lo prendeva per il bavero”.

Per concludere questa carrellata di donne vorrei ricordare le vicende di un’altra satilariese che per riuscire a svolgere il lavoro che aveva sognato e per cui aveva duramente studiato è stata costretta a lottare esponendosi in prima persona. Mi riferisco alla levatrice Novella Spaggiari, la donna che ha fatto nascere diverse generazioni di santilariesi. Questa figura è rimasta nella memoria di tutti quelli che l’hanno conosciuta sia per la sua professionalità che per la dedizione al suo lavoro che portava, anche nelle condizioni più avverse, ad essere presente al capezzale delle partorienti. Anche in questo caso ripercorriamo la sua vicenda umana e professionale tramite un articolo uscito sul gazzettino prima del suo pensionamento.

Novella Spaggiari nel 1951. La levatrice nel corso degli anni si è probabilmente dotata prima di una Vespa e poi di un’auto che le consentivano di raggiungere rapidamente l’abitazione della partoriente.

“Il padre della levatrice Novella fu il primo sindaco socialista di S.Ilario eletto nel 1909. Sposò Teresa Zonani concependo cinque figli imponendo loro il nome di Anarchia, Lotta, Vessillo, Novella e Plebe. Il primo nascituro santilariese che venne estratto dal grembo materno dalla Spaggiari fu nel 1925; la puerpera era sua cognata Benassi Celestina. Concorre al bando comunale per ostetrica e viene osteggiata per motivi politici dal podestà Zunini; per nostra fortuna il dottore che presiede la commissione dà pieno riconoscimento a questa levatrice. Da questo momento Novella sgobba senza risparmio inforcando la bicicletta e d’inverno, quando la neve imperversa, si reca a piedi di casa in casa per compiere il suo dovere. I contadini di Calerno o della Razza in pieno inverno, di notte, venivano a prenderla col biroccio e quando il parto si protraeva a lungo la riportavano al mattino dopo. Quelle contadine che partorivano sette o otto figli aiutate da quelle mani prodigiose non la dimenticheranno mai”.

(Troverete questo ed altri racconti nel volume a cura di Giorgio Casamatti “Sant’Ilario com’era: Il lavoro, le botteghe e le industrie storiche” disponibile presso la Tabaccheria di Boni Giovanni di Via Val d’Enza 12 a S.Ilario).

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