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Il nostro Tognèt

Un ricordo di Antonio Iotti a pochi giorni dalla scomparsa

(di Giorgio Spaggiari)

Un breve whatsapp, il 9 settembre scorso, mi ha annunciato che è morto Tognèt (Antonio Iotti). Non che il nome e cognome per me fossero importanti, perché “Tognèt” era più che sufficiente a ricordare chi fosse, come sarà sufficiente a chi, tra quanti hanno qualche capello grigio o bianco, lo conobbe.

Tognèt in piazza a Sant’Ilario, col Sindaco Carlo Perucchetti e Marcello Moretti in occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile del 2019.

Da molti anni, trasferitosi a Parma, era assente dalla sua Sant’Ilario, dove era nato il 25 giugno del 1928, e vi tornava solo in rare occasioni, come per il 25 aprile di due anni fa, a celebrare l’anniversario della Liberazione, lui che la visse in prima persona.

Abbiamo perso uno degli ultimi partigiani che scegliendo di combattere nella Resistenza al fascismo e nazismo sapevano che potevano andare incontro alla morte o ai campi di concentramento, come avvenne per Piero, fratello di Tognèt, deportato a Mauthausen. Erano giovani che combattevano per la libertà, la loro e la nostra, riscattando agli occhi del mondo, per quanto possibile, l’immagine di un paese, l’Italia del ventennio fascista. Non sono purtroppo rimasti più in molti coloro che ci possano testimoniare di quella epopea popolare di Liberazione e trasmettercene i valori; il tempo triste e smemorato che stiamo vivendo ne avrebbe davvero e ancora bisogno.

Delle storie della Resistenza, delle sue esperienze, delle sue paure di giovane sedicenne col fucile in mano, nelle montagne sopra Traversetolo, a Tognèt piaceva raccontare. E a noi giovani di allora piaceva ascoltare. Erano, in fin dei conti, le vite dei nostri padri di cui si parlava, erano monito e insegnamento per noi.

Oltre ad essere un assiduo collaboratore di Istoreco (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Reggio Emilia) relativamente alla storia partigiana, nel marzo del 2003 diede un’intervista al sito “Teste Parlanti-Memorie del ‘900” (se volete vederla e ascoltarla la trovate a questo link  https://www.testeparlantimemorie900.it/video/antonio-iotti/ oppure direttamente su Youtube a quest’altro link https://youtu.be/IFEGX_BV9zQ ) in cui Tognèt raccontava come divenne staffetta partigiana prima e partigiano combattente successivamente : è una intervista molto bella e sincera che vi consiglio.

Tognèt amava profondamente Sant’Ilario, perfettamente inserito in quella dimensione popolare che i tempi di allora concedevano al vivere in una piccola comunità, con le sue storie e i suoi personaggi a volte tragici, a volte comici. Ne era partecipe e organizzatore: di tornei di calcio (chi si ricorda il “torneo dei quartieri” degli anni ’50?), di Feste de l’Unità, ma anche settimane del cinema un paio di volte all’anno.

Non si poteva definire una persona istruita in senso “scolastico”, anche perché, studente di prima o seconda media a Parma, allo studio volle “teatralmente” sottrarsi lanciando i libri nell’Enza un giorno tornando da scuola: la famiglia capì.

Era però una persona di grande curiosità (qualità che è parte e presupposto della cultura), che leggeva molto, grande appassionato di cinema (di cui curava una rubrica di recensioni sul Gazzettino Santilariese) e, politicamente, molto attento a interpretare le trasformazioni che avvenivano nel mondo e molto aperto a visioni nuove.

L’unico cruccio “scolastico” che aveva era il non saper scrivere bene pur avendo buone idee. E spesso cercava l’aiuto di chi questo sapeva fare dando lui l’idea e l’altro la prosa. Per descrivere questa sua “caratteristica” e prenderlo un po’ in giro (ma lui ci rideva) mio padre diceva che “Tognèt ha la penna con lo sterzo duro”, motto che divenne poi un mantra all’interno della redazione del Gazzettino Santilariese.

Per decenni infatti, prima di trasferirsi a Parma, era stato il trascinatore della redazione del nostro giornale, spesso proponendo spunti e idee per articoli politici e di costume, ma sempre monopolizzando colla e forbici nel montare il menabò del giornale da mandare in tipografia: ogni mese due o tre lunghe serate che terminavano a mezzanotte inoltrata, intramezzate da discussioni di vario tipo, dalla politica allo sport o altro, tra fumose nebbie di sigarette, nella sede del PCI, al primo piano, in piazza della Repubblica.

Ti salutiamo, caro Tognèt, e ti ricordiamo, da quel giornale di carta che non usa più colla e forbici al quale si è affiancato un fratellino che si chiama Gazzettino Santilariese online: ma è solo la prosecuzione di una lunga e bella storia di cui sei parte.

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